Simon Boccanegra
Lu | Ma | Me | Gi | Ve | Sa | Do |
Simon Boccanegra – Giuseppe Verdi | Opera
Una produzione della Fenice, con sovratitoli in italiano e inglese.
La trama
Prologo
Una piazza di Genova – A destra il Palazzo dei Fieschi – È notte
È il 1339. Sta per essere eletto il nuovo Doge e in città fervono le lotte fra il partito plebeo, capeggiato dal popolano Paolo Albiani, e quello aristocratico legato al nobile Jacopo Fiesco.
Paolo confida al popolano Pietro di sostenere l'ascesa al trono dogale di Simon Boccanegra, un corsaro che ha reso grandi servigi alla repubblica genovese, e di attendersi in cambio potere e ricchezza. Giunge Simone, angosciato perché da molto tempo non ha più notizie di Maria, la donna amata che gli ha dato una figlia e che per questo è tenuta prigioniera nel palazzo gentilizio del padre Jacopo Fiesco. Paolo convince il riluttante Simone ad accettare la candidatura prospettandogli che, una volta eletto Doge, nessuno potrà più negargli le nozze con Maria. Pietro chiede al popolo di votare per Simone e avverte che dal palazzo dei Fieschi giungono dei lamenti di donna: forse è Maria, la fanciulla da tempo scomparsa (L'atra magion vedete?). Tutti si allontanano.
Jacopo Fiesco esce sconvolto dal palazzo: Maria è morta. Voci pietose intonano un Miserere (A te l'estremo addio). Sopraggiunge Simone e, ignaro di quanto è accaduto, supplica il Fiesco di perdonarlo e concedergli Maria. Quando il patrizio gli pone come condizione la consegna della nipote, egli confessa che la bambina fu da lui affidata a un'anziana nutrice in un paese lontano, ma poi la nutrice morì e la bambina scappò via di casa e quindi scomparve. Svanita così ogni speranza di rappacificazione, il Fiesco finge di allontanarsi, ma di nascosto osserva Simone, che entra nel palazzo in cerca della prigioniera. Dall'interno dell'edificio giunge un grido disperato: «Maria!», e proprio in quel momento il popolo acclama Simon Boccanegra nuovo Doge.
Tra il prologo e il primo atto trascorrono venticinque anni e accadono molti fatti: il Doge ha esiliato i capi degli aristocratici, confiscandone le proprietà, e il Fiesco, per sfuggirgli, vive in esilio in un palazzo fuori di Genova, sotto il nome di Andrea Grimaldi, mentre Simone crede ch'egli sia morto. Anni addietro, però, il Fiesco e la famiglia Grimaldi trovarono una bambina nel convento in cui era appena morta Amelia, la figlia dei Grimaldi, e decisero di adottarla e di darle il nome della figlia morta per evitare che il Doge di Genova confiscasse le ricchezze della famiglia; ma quest'orfana, all'insaputa di tutti, altri non è che la vera figlia di Maria e Simone. Trascorsi venticinque anni, Amelia ama riamata un giovane patrizio, Gabriele Adorno, che, essendo l'unico a sapere che Jacopo Fiesco e Andrea Grimaldi sono la stessa persona, congiura con lui contro il Doge plebeo.
Atto primo
Quadro primo
Giardino dei Grimaldi fuori di Genova.
Amelia attende Gabriele in riva al mare, immersa nei confusi ricordi della sua fanciullezza (Come in quest'ora bruna), e quando il giovane la raggiunge lo supplica di non partecipare alla cospirazione contro Simone (Vieni a mirar la cerula).
Pietro annuncia l'arrivo del Doge e Amelia, temendo che egli venga a chiederla in sposa per il suo favorito, Paolo Albiani, supplica Gabriele di prevenirlo affrettando le nozze. Rimasto solo con Gabriele, Andrea Grimaldi (ossia Jacopo Fiesco) gli rivela che Amelia è in realtà un'orfanella a cui, lui e i Grimaldi, hanno dato il nome della vera figlia dei Grimaldi e, vedendolo degno di lei, lo benedice.
Squilli di trombe annunciano l'entrata del Doge, che porge ad Amelia un foglio: è la concessione della grazia ai Grimaldi. La fanciulla, commossa, gli apre il cuore, confessandogli di amare un giovane aristocratico e di essere insidiata dal perfido Paolo, che aspira alle sue ricchezze. Infine gli rivela di essere orfana (Orfanella il tetto umile). Simone, sentendo la parola orfana, la incalza con le sue domande e confronta un suo medaglione con quello che la fanciulla porta al collo: entrambi recano l'immagine di Maria! Padre e figlia si abbracciano felici.
Al ritorno di Paolo, Simone gli ordina di rinunciare ad Amelia e il perfido uomo, per vendicarsi, organizza per la notte successiva il rapimento della donna.
Quadro secondo
Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati.
Il Senato si è riunito e il Doge chiede il parere dei suoi consiglieri: egli desidera la pace con Venezia, ma Paolo e i suoi vogliono la guerra. Dalla piazza giungono i clamori di un tumulto e, affacciandosi al balcone, Simone scorge Gabriele Adorno inseguito dai plebei. Pietro, temendo che il rapimento di Amelia sia stato scoperto, incita Paolo a fuggire, ma il Doge lo precede ordinando che tutte le porte siano chiuse: chiunque fuggirà sarà dichiarato traditore. Poi, incurante delle grida di «Morte al Doge!», fa entrare il popolo. La folla irrompe trascinando il Fiesco e Gabriele, che confessa di aver ucciso l'usuraio Lorenzino, l'uomo che ha rapito Amelia per ordine di un «uom possente» del quale non ha fatto in tempo a svelare il nome; poi, ritenendolo responsabile del rapimento, si slancia su Simone per colpirlo. Sopraggiunge Amelia, si pone fra i due e supplica il padre di salvare Adorno, raccontando di essere stata rapita da tre sgherri, di essere svenuta e di essersi ritrovata nella casa di Lorenzino. Poi, «fissando Paolo», dice di poter riconoscere il vile mandante del rapimento. Scoppia un tumulto, patrizi e plebei si accusano a vicenda, Simone rivolge all'assemblea e al popolo un accorato discorso, invocando pace e amore per tutti (Plebe! Patrizi! Popolo...). Gabriele gli consegna la spada ma il Doge la rifiuta e lo invita a rimanere agli arresti a palazzo finché l'intrigo non sia svelato. Si rivolge quindi a Paolo, di cui ha intuito la colpevolezza, e lo invita a maledire pubblicamente il traditore infame che si nasconde nella sala. Paolo, inorridito, è in tal modo costretto a maledire se stesso.
Atto secondo
Stanza del Doge nel Palazzo Ducale di Genova.
Paolo, bandito da Genova, chiede a Pietro di condurre da lui i due prigionieri, Gabriele e il Fiesco, e versa una fiala di veleno nella tazza di Simone. Non contento, egli chiede al Fiesco, l'organizzatore confesso della rivolta, di assassinare il Doge nel sonno e, davanti al suo sdegnato rifiuto, lo fa riportare in cella e insinua in Gabriele il sospetto che Amelia si trovi in balìa delle turpi attenzioni di Simone (Sento avvampar nell'anima). Quando giunge Amelia, il giovane l'accusa di tradimento con il Doge, di cui uno squillo di tromba annuncia l'arrivo. Gabriele si nasconde, Amelia in lacrime confessa al padre di amare l'Adorno e lo supplica di salvarlo. Simone, combattuto fra i doveri della sua carica e il sentimento paterno, la congeda. Beve quindi un sorso dalla tazza, notando che l'acqua ha un sapore amaro, e si assopisce. Gabriele esce dal suo nascondiglio e si slancia contro di lui per colpirlo, ma ancora una volta Amelia glielo impedisce. È il momento della rivelazione: il Doge si risveglia, ha un violento scontro verbale con Gabriele, che l'accusa di avergli ucciso il padre, e infine gli svela che Amelia è sua figlia.
Il giovane implora Amelia di perdonarlo e offre al Doge la sua vita (Perdon, perdono, Amelia). Di fuori giungono rumori di tumulti e voci concitate: i cospiratori stanno assalendo il palazzo. In segno di riconciliazione il Doge incarica Gabriele di comunicare loro le sue proposte di pace e gli concede la mano di Amelia.
Atto terzo
Interno del Palazzo Ducale.
La rivolta è fallita, il Doge ha concesso la libertà ai capi ribelli, solo Paolo è stato condannato a morte. Mentre si reca al patibolo, egli rivela al Fiesco di aver fatto bere a Simone un veleno che lo sta lentamente uccidendo e ascolta con orrore le voci che inneggiano alle future nozze di Amelia e Gabriele.
Giunge il Boccanegra, che sta cercando refrigerio al malessere che già lo pervade respirando sul balcone l'aria del mare. All'improvviso gli si avvicina il Fiesco (nei panni di Andrea Grimaldi), che gli annuncia che la sua morte è vicina (Delle faci festanti al barlume). Da quella voce inesorabile, dopo averlo osservato bene in volto, Simone riconosce con stupore l'antico nemico, ch'egli credeva morto, e con un gesto magnanimo decide di rivelargli che Amelia è sua nipote. La commozione invade l'anima del vecchio patrizio, che troppo tardi comprende l'inutilità del suo odio. Un abbraccio pone fine alla lunga guerra.
Quando il corteo degli sposi torna dalla chiesa, Simone invita la figlia a riconoscere nel Fiesco il nonno materno, benedice la giovane coppia (Gran Dio, li benedici) e muore dopo aver proclamato Gabriele nuovo Doge di Genova.
Programma e cast
Direttore: Renato Palumbo
Regia: Luca Micheletti
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Maestro del Coro: Alfonso Caiani
Allestimento della Fenice
I ruoli sono attualmente in fase di definizione e verranno annunciati al più presto.
Teatro La Fenice
Fondato nel 1792, il Teatro La Fenice è stato nell’Ottocento sede di numerose prime assolute di opere di Rossini (Tancredi, Sigismondo,Semiramide), Bellini (I Capuleti e i Montecchi,Beatrice di Tenda), Donizetti (Belisario, Pia de’ Tolomei, Maria de Rudenz), Verdi (Ernani, Attila,Rigoletto, La traviata, Simon Boccanegra).
Anche nell’ultimo secolo grande è stata l’attenzione alla produzione contemporanea, con prime mondiali quali The Rake’s Progress di Stravinskij, The Turn of the Screw di Britten, L’angelo di fuoco di Prokofiev, Intolleranza di Nono, Hyperion di Maderna e recentemente Entführung im Konzertsaaldi Kagel, Medea di Guarnieri, Signor Goldoni di Mosca, Il killer di parole di Ambrosini.
Con una capienza di mille posti, un’ottima acustica (ulteriormente migliorata dopo la recente ricostruzione seguita al devastante incendio del 1996), un’orchestra e un coro stabili di 98 e 66 elementi, un ampio pubblico internazionale che si aggiunge all’assiduo pubblico locale, la Fenice si pone tuttora come centro produttivo di primaria importanza, con più di cento recite d’opera all’anno, un’importante stagione sinfonica affidata a direttori di calibro internazionale (ricordiamo le frequenti collaborazioni con Myung-Whun Chung, Riccardo Chailly, Jeffrey Tate, Vladimir Temirkanov, Dmitrij Kitajenko, i cicli integrali delle sinfonie di Beethoven, Schumann, Brahms, Mahler e l’attenzione al repertorio contemporaneo, in particolare veneziano, con Nono e Maderna), spettacoli di balletto e concerti di musica da camera.
La sala, di proprietà del Comune di Venezia, è gestita dalla Fondazione Teatro La Fenice, un ente di diritto privato che conta tra i suoi soci lo Stato italiano, la Regione del Veneto, il Comune di Venezia e numerosi soggetti pubblici e privati, che utilizza per le sue attività anche il Teatro Malibran, ex Teatro di San Giovanni Grisostomo, attivo dal 1678.
Sovrintendente della Fondazione è attualmente Cristiano Chiarot, direttore artistico Fortunato Ortombina, direttore musicale principale Diego Matheuz, maestro del coro Claudio Marino Moretti.
Trasporti
vaporetto
dal Tronchetto - linea 2
direzione Rialto, San Marco e Lido
da Piazzale Roma e dalla Stazione dei treni ‘Santa Lucia’- linea 1 o linea 2
direzione Rialto, San Marco e Lido
se sei sulla linea 1, scendi a Rialto; Sant’Angelo, San Samuele o San Marco (Vallaresso) s
e sei sulla linea 2, scendi a Rialto o San Marco (Vallaresso)
dall’Aeroporto ‘Marco Polo’ di Venezia - servizio pubblico Alilaguna
se sei sulla ‘linea arancio’, scendi a Rialto
se sei sulla ‘linea blu’, scendi a San Marco (Vallaresso)
Parcheggi
Ricordiamo che a Venezia si può arrivare con l’auto ma che in città non viene consentito il transito di auto, biciclette e motorini.
Entrate
ci sono due differenti tipologie di entrate:
- l’entrata degli artisti con servizio di portineria, riservata al personale dipendente e agli artisti stessi;
- l’entrata principale dalla quale hanno accesso il pubblico pagante
Ascensori
Palchi, Galleria e Loggione si possono raggiungere con gli ascensori
Accesso per i disabili
Il Teatro è accessibile secondo normativa.